Giuseppe Valsavoia
Sono passati undici anni da quel Gennaio 2007: data di inizio dei primi contatti con la gente della Guinea-Bissau.
Un esordio del tutto individuale che mai avrei previsto trasformarsi nella realtà attuale.
La successiva nascita dell’Associazione Abala lite ha proiettato il gruppo di volontari, che è andato costituendosi, verso una nuova dimensione di intervento.
Siamo diventati negli anni per numero e possibilità finanziarie una piccola cosa, ma riconosciuta dalla comunità guineiana nella quale operiamo, perché si è innestata fattivamente in tutte le fasi che precedono l’individuazione delle priorità e, conseguentemente, degli obiettivi da raggiungere. Necessariamente entrambi sono discussi e concordati con la popolazione, per il successivo passaggio alla definizione dei progetti, alla cui attuazione tutti collaborano aspirando a migliorare e superare le odierne condizioni di vita.
Questo modus operandi secondo noi dovrebbe diventare prassi costante di tutti gli attori che operano nel terzo settore in Africa.
I progetti calati dall’alto senza il coinvolgimento attivo delle popolazioni interessate, oltre al rischio di disperdere le energie finanziarie in rivoli non controllabili, generano resistenze nelle popolazioni alle quali ci si rivolge.
Siamo speranzosi che i prossimi annunciati finanziamenti per l’Africa (almeno per l’Africa che conosciamo noi, perché il continente Africano presenta situazioni tra loro molto differenti) seguano queste semplici condizioni e preferiscano l’attuazione di micro progetti per i quali non siano necessarie grandi organizzazioni ma, soprattutto, che siano vicine ai bisogni ed alle priorità delle comunità, definiti insieme a loro e da loro controllabili.
Negli incontri organizzati in Italia per informare su quanto realizzato in Guinea-Bissau e sensibilizzare i nostri concittadini, molte volte ci viene obiettato che ciò che facciamo è una invisibile, microscopica goccia nell’arsura desertica dei presenti bisogni della gente africana. Giusta obiezione, ma la presa d’atto di condizioni tanto difficili da superare non può essere il conseguente abbandono della situazione in cui si opera.
Per le persone costrette a bere acqua contaminata con conseguenti rischi anche mortali bere acqua pulita, perché pompata a 50 mt. sottoterra, fa la differenza tra la vita e la morte. E la risposta positiva al nostro intervento ci è data dal quotidiano concreto rapporto con le persone e dal fatto che i villaggi vicini a N’Tchangue ci chiedono di intraprendere da loro, gli stessi interventi. Purtroppo il nostro budget non ci consente di sviluppare ulteriori progetti. Dobbiamo cercare, quindi, di incrementare le nostre energie umane e le nostre entrate per dare risposte a queste richieste.
Mi accorgo sovente che chi è abituato ad aprire il rubinetto dell’acqua potabile, molte volte non è consapevole di sprecarla, e non pensa ai milioni di persone per le quali è un miraggio solo avere acqua pulita.
La trivellazione di nuovi pozzi ed il ripristino in sicurezza di quelli presenti a N’Tchangue costituiscono un formidabile salto di qualità nella vita di tutti i suoi abitanti, garantendo migliori prospettive per tutte le attività future del villaggio.
Rivolgo un sincero ringraziamento a tutti quelli che, in qualsiasi modo, s’impegnano dando continuità a queste scelte di vicinanza e condivisione, in particolare al Comune di Leinì e all’ATO3, che con il loro contributo ci hanno permesso con qualche goccia in più di acqua potabile di salvare qualche vita in più.